L'auto sospetta correva per la strada deserta e non accennava a diminuire la sua velocità. L’autopattuglia che era al suo inseguimento si teneva ad una distanza di sicurezza di un paio di metri, nel caso l’altra auto avesse inchiodato all’improvviso. L’agente Kurtighan non era al suo primo inseguimento, ma sentiva qualcosa di strano. Qualcosa gli sussurrava, dentro di sé, che l’uomo che stava inseguendo non era normale.
Già dal suo comportamento al posto di blocco qualche minuto prima, Kurtighan notò qualcosa di anomalo in lui: mentre parlava, non guardava mai negli occhi la persona che aveva davanti. Dal momento della sua fuga improvvisa, l’agente aveva impressa nella mente la faccia del sospettato. Era riuscito anche a comunicare alla centrale l'inizio del suo inseguimento tracciando al volo un identikit, ma senza ottenere informazioni utili ai fini dell’arresto.
Una leggera pioggia iniziò a battere sul terriccio che ricopriva la stradina sopra la quale le due auto sfrecciavano a tutta velocità. L’auto sospetta, come aveva comunicato Kurtighan poco prima alla centrale, era una Mustang del settantasette color blu notte, che alle prime luci dell’alba si distingueva appena. In questo le sirene e gli abbaglianti dell’autopattuglia aiutavano non poco l’agente di polizia.
Dopo circa venti minuti d’inseguimento in una strada praticamente deserta, la Mustang si immettè sulla statale ventitrè, diretta ad ovest. Kurtighan non sapeva cosa pensare. Era solo molto curioso di scoprire cosa stesse passando per la testa di quell’uomo.
Ad un tratto l’auto sospetta, diretta verso un piazzale enorme, subì un notevole rallentamento, quasi a fermarsi.
Il piazzale era completamente ricoperto d’erba alta. Alti alberi tutto intorno racchiudevano il posto facendola sembrare un’isola deserta, e ciò dimostrava la desolazione che vi regnava. Kurtighan sgranò gi occhi, strofinandosi con la mano sul volto, mentre l’auto inseguita procedeva a rilento. Indeciso se procedere con uno speronamento, continuò ad inseguirlo attentamente, almeno per qualche altro secondo. Fu allora che lo vide. Grazie alla flebile prima luce dell’alba, sul fondo del piazzale riuscì a distinguere un edificio: era alto almeno quattro piani distribuiti orizzontalmente e occupava gran parte dello spiazzo. Avvicinandosi sempre di più riuscì ad intravedere un cancello, che probabilmente delimitava l’area occupata dall’edificio.
Deciso ormai a speronare l’auto ponendo fine all’inseguimento, Kurtighan esitò un istante, leggendo ad alta voce la scritta che regnava sovrana proprio sull’enorme cancello di fronte a lui: “M∆DHOUSE” mormorò tra sé e sé. In quel preciso istante la Mustang inchiodò di colpo e per poco l’agente non la tamponò. Il sospetto scese dall’auto e Kurtighan, pistola calibro ventidue in pugno, lo imitò. «Fermo dove sei! Tieni le mani in alto o sparo!» urlò con tono altisonante. Il sospetto iniziò ad avvicinarsi lentamente verso il poliziotto. «Ho detto fermo o sparo!» sbraitò ancora, puntandogli la pistola contro. L’uomo, continuando ad ignorare l’ordine dell’agente, si avvicinava sempre di più. «Fermo dove sei!» sbottò Kurtighan tremolantee. Meno di due metri. Un metro. Alcuni passi. Pochi centimetri.
Bang!
Il colpo esploso riecheggiò nell’enorme piazzale. Da quel momento nessuno ebbe più notizie dell’agente Kurtighan.