La fuga

Il primo vero compito assegnato al giovane Joshua Robins dall'S-7, la sua nuova famiglia, consisteva nel somministrare delle dosi giornaliere di una speciale vitamina scoperta e sintetizzata dal dottor Richard Kevinson, ad uno dei quattro pazienti scelti tra i numerosi che occupavano MADHOUSE, per testare alcune reazioni del cervello in situazioni di stress particolare indotto. La vitamina 3X-3 aveva il compito di indurre tale stress.

«Donald Lowell» disse serio il dottor Kevinson, rivolto a Joshua, seduto sulla piccola poltrona del suo modesto ufficio al secondo piano di MADHOUSE. «Come mai proprio Lowell?» chiese il ragazzo. «Se sapessi cosa ha fatto, non mi avresti mai posto questa domanda» rispose secco il dottore. «Comunque per ora le informazioni che ti ho dato sono più che sufficienti» sentenziò. «Ok» rispose lui. «Inizierò la somministrazione della 3X-3 domani alle sette in punto. Con l’aiuto di questa tabella...» e gli mostrò una cartellina con un foglio attaccato sopra «...terrò sotto controllo le attività celebrali.» «Bene, buona fortuna» disse Kevinson alzandosi e invitando Joshua a fare lo stesso. «E ricorda che quella vitamina è molto potente. Devi dargli un massimo di dieci millilitri per volta. Una goccia in più e potrebbe avere uno shock.» «Farò come dice» disse educatamente il ragazzo incamminandosi verso la porta. «Arrivederci.» «Ciao» salutò il dottore chiudendo la porta. “Bene si comincia” pensò Joshua.

Il giorno dopo, un venerdì, il giovane dottore si presentò puntuale alle sette meno dieci nella stanza del paziente numero 0099, Donald Lowell. Era già stato informato della nuova cura, ma Joshua aveva deciso di agire durante il sonno, per evitare complicazioni.

Entrato nella stanza numero 106, si avvicinò subito alla flebo, riposta accanto alla finestra, tentando di non far rumore. Avvicinò con delicatezza la flebo al letto del paziente, e con cura prese dal suo taschino la fialetta di 3X-3 che conteneva venti millilitri. Doveva versarne esattamente la metà. Mentre apriva la fialetta, sentì una vibrazione provenire dalla tasca interna del camice: era il suo cellulare attivo in modalità silenziosa. «Maledizione» imprecò sottovoce. «Proprio ora.» Prese il telefono con una mano, mentre con l’altra si accingeva a versare la soluzione. «Pronto?» rispose sempre sottovoce. «Chi è?» «Sono Rebecca» disse la voce dall’altra parte del telefono. «Cosa… Rebecca? Ciao, come va?» chiese cordiale Joshua. Mentre parlava, iniziò a versare il liquido facendo attenzione alla dose necessaria. «Come mai non mi hai richiamata?» chiese la ragazza. «Sono stato molto impegnato in questi giorni…» Intanto versava la vitamina. Cinque millilitri, sei, sette… «Come mai parli sottovoce?» domandò. «Senti ora sono impegnato, ti richiamo più tardi» e attaccò il telefono. Proprio nel momento in cui riponeva il telefono in tasca, l’undicesimo millilitro scendeva dalla piccola fialetta di vetro, dritta nella flebo di Lowell. «Bene, dieci millilitri esatti» si disse soddisfatto. Ripose la fiala nel taschino e se ne andò.

La flebo nella stanza, intanto, iniziò ad iniettare la vitamina nel corpo di Donald Lowell.

Solo poche ore furono il tempo necessario per scoprire l’accaduto. Si sentivano alcune infermiere confabulare con un dottore del reparto anestesia, e questi era rimasto di ghiaccio. «Non era mai successo da quando lavoro qui» disse sconvolto. «Non posso ancora crederci». Quando Joshua Robins si diresse nella stanza numero quindici del quarto piano di MADHOUSE, sapeva che stava per tenersi un’altra riunione del S-7, ma non poteva immaginare che l’oggetto di quella riunione sarebbe stato proprio lui. «Buonasera» esordì Joshua entrando ed accomodandosi con gli altri nell’enorme tavolo che campeggiava in mezzo alla sala. «Sai perché siamo qui?» chiese senza indugio Kabowsky. «No» rispose innocente il ragazzo. «Cosa succede?» «Abbiamo un problema» si intromise il dottor Mitchell. «Un problema con un tuo paziente». «Lowell?» chiese Joshua con una vena di preoccupazione, alzandosi leggermente dalla sedia. «Esatto, Lowell» rispose Mitchell. «Cosa è successo? Sta bene? La vitamina ha avuto gli effetti sperati?» chiese lui. «Direi proprio di si» disse il dottore. «Sei sicuro di aver fatto tutto alla perfezione?» «Certo, ho dato dieci millilitri di 3X-3 al paziente» rispose fermo. «Puoi darmi gentilmente la fiala del 3X-3, Joshua?» chiese educatamente ma con un filo di rancore il dottor Kevinson. «Certo, eccola». E la porse al medico. «Come sospettavo...» furono le sue parole dopo qualche istante. «Nove». «Nove cosa?» chiese il ragazzo. I quattro medici si alzarono e osservarono attentamente la fiala. «Non è poi così grave» lo giustificò Kabowsky. «Poteva capitare a tutti». «Potete spiegarmi, per favore?» chiese Joshua alzandosi anche lui. «Guarda con i tuoi occhi» disse il dottor Kabowsky porgendo la fiala a Joshua. Ora aveva capito tutto. “Dannate donne” pensò.

Nelle ore successive si organizzò la più grande caccia all’uomo nella storia di MADHOUSE. Il paziente numero 0099, Donald Lowell, era completamente scomparso. I medici del S-7 ipotizzarono uno shock alla 3X-3 tale da farlo scappare via, in preda al panico, senza una meta. Almeno finché il suo corpo non avesse assorbito e smaltito tutta la vitamina. Tutte le pattuglie di sicurezza di MADHOUSE furono disseminate nei dintorni dell’ospedale, coprendo il piazzale ed oltre. Era ormai quasi buio, ed i dottori Kevinson, Kabowsky, Morty, Mitchell e Robins, stavano pattugliando i dintorni del piazzale, convinti di ritrovare Lowell in preda ad una crisi di panico nel bel mezzo del bosco vicino. Non fu così. Dopo ore di ricerche invano, Lowell sembrava dissolto nel nulla. Nessuno riusciva a trovarlo, nonostante l’enorme mole di persone che stavano lo stavano cercando.

Era quasi l’alba, quando un lontano ronzio colse l’attenzione del gruppo di medici membri del S-7,proveniente dal boschetto situato non più di mezzo miglio da MADHOUSE. Un’auto si stava avvicinando a tutta velocità verso il piazzale. «Sentite!» urlò Kevinson, raccogliendo a rapporto gli altri. «È un’auto! Si sta dirigendo verso il piazzale!» «No...» mormorò Joshua. Tutti lo guardarono. «Sono due auto!» concluse sgranando gli occhi. «Ha ragione!» confermò Kabowsky, mentre i cinque si dirigevano verso il piazzale. «Ma chi diavolo saranno?» Arrivati alla soglia dell’enorme spiazzo di cemento, di proprietà di MADHOUSE, i sei medici assistettero stupiti all’inseguimento: l’auto inseguita era una Mustang color blu, che si intravedeva appena alle prime luci dell’alba. L’altra auto era sicuramente un’autopattuglia con sirene spiegate e fari abbaglianti accesi per farsi strada. Videro la Mustang imboccare la stradina che conduceva al piazzale, a meno di venti metri da dove si trovavano loro. Ed allora Joshua lo vide: alla guida dell’auto inseguita dalla polizia c’era Donald Lowell, il paziente che ore prima era sparito dall’ospedale. « È Donald!» esclamò Joshua, dirigendosi verso l’auto che iniziava a percorrere il piazzale a non più di dieci miglia orarie, mentre l’autopattuglia lo seguiva come per controllare la situzione a distanza. Gli altri quattro seguirono Joshua, sempre più incuriositi. “Perché è tornato qui?” si chiese il dottor Kevinson. “Ha avuto senz’altro uno shock provocato dalla 3X-3, ma non mi spiego perché sia tornato. E poi perché quel poliziotto lo segue? Se ha visto Lowell, dovremo provvedere”.

Il gruppo di medici si fermò all’istante quando videro le due auto inchiodare a qualche metro di distanza. «Ma cosa…» sussurrò Kabowsky. Donald Lowell scese dall’auto, e pochi istanti dopo, l’agente di polizia, con la pistola in mano, lo imitò. Joshua sentiva il poliziotto intimare l’alt a Donald, il quale lo ignorava. Sembrava sotto l’effetto di qualche droga, forse colpa della 3X-3. Forse per colpa sua. «Fermo! Mani in alto!» urlò l’agente. «Dobbiamo intervenire» urlò Kabowsky. «Blocchiamo quell’uomo. Non deve assolutamente nuocere al soggetto». Joshua non capiva bene cosa stava succedendo. «Fermo o sparo!» urlò il poliziotto mentre Lowel gli si avvicinava sempre di più. Il dottor Kevinson, intanto si era portato furtivamente alle spalle dell’agente con l’intento di bloccarlo prima che aprisse il fuoco. Intanto Mitchell era a pochi passi da Lowell, diretto verso l’agente.

Nell’oscurità senza luna di quella notte non si vedeva ad un palmo dal naso. Il poliziotto intravedeva a fatica nella sua mira l’uomo grazie ai fari della sua auto ancora accesi. Joshua e Morty seguivano la scena da qualche metro di distanza. «Fermo dove sei! È l’ultimo avvertimento!» sbraitò l’agente ormai deciso a far fuoco. Mitchell e Kevinson erano in posizione pronti ad agire. Lowell era a pochi passi dal poliziotto. Una manciata di passi.

Bang!

Il colpo della pistola d’ordinanza dell’agente Kurtighan esplose in direzione del sospettato di fronte a lui. Nella semioscurità nessuno aveva visto nulla. Furono attimi intensi avvolti da un silenzio assoluto. La leggera foschia che immergeva il piazzale si sollevò lentamente mostrando a tutti la scena: Kurtighan si sorprese nel vedere intorno a lui be cinque estranei, oltre al suo sospettato disteso a terra. Lowell, davanti agli occhi increduli del poliziotto, si alzò illeso. Dietro di sé il dottor Mitchell che lo aveva scansato all’ultimo momento, ferito di striscio alla spalla dal proiettile. Kurtighan si voltò lentamente e vide dietro di sé il dottor Kevinson, che aveva toccato la sua mano un attimo prima dello sparo con l’intento di fargli mancare il bersaglio. Joshua, Morty e Kabowsky, fermi, immobili. «Cosa…» farfugliò Kurtighan, l’arma ancora in pugno. «Mi dispiace amico» disse Kevinson alle sue spalle. «Sei capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato». L’agente fece mezzo giro su sé stesso per guardare in faccia Kevinson, quando questi lo colpì al volto, facendolo cadere con un tonfo in terra. «Tranquillo Joshua» disse guardando la faccia incredula del ragazzo. «Non gli faremo del male. Ma aveva avuto contatti con Lowell, e ciò è molto pericoloso». Joshua Robins si limitò ad annuire ancora scioccato, mentre i suoi colleghi sollevavano il corpo inerme dell’agente e sorreggevano uno stordito Daniel Lowell. «Andiamo» sentenziò solenne Kabowsky, che aveva assistito alla scena in silenzio, «abbiamo un lavoro da compiere».

E s’incamminarono tutti verso MADHOUSE, illuminati dai primi raggi di sole del giorno appena iniziato.