Una pesante cartella, contenente parecchie schede e fotografie, giaceva sulla scrivania di Edward Romwell, direttore di MADHOUSE. La cartella era tutta dedicata ad un unico paziente, scelto per essere il primo uomo nella storia a sperimentare il processo del “reset celebrale indotto” in maniera completa, divenendo quindi, a tutti gli effetti, un nuova persona.
Quando Romwell lesse per la prima volta il nome del prescelto, si sentì leggermente turbato. Non era sicuro che il paziente scelto fosse la persona ideale, essendo a conoscenza dei sui precedenti. Dopo minuti interi passati in silenzio nella penombra del suo studio con in mano le schede cliniche del paziente numero 0085, prese finalmente la decisione che proclamava ufficialmente Kenny Portland il primo essere umano ad essere completamente riprogrammato.
La storia dell’umanità stava per compiere, ancora una volta, un enorme balzo in avanti.
L’agente speciale Jason Bitter ed il suo collega, Tom Potara, erano stati incaricati del recupero del paziente Portland per il suo immediato internamento in preparazione del momento definito cruciale dal dottor Kabowsky, vale a dire l’inizio della nuova cura.
Bitter bussò alla camera numero 106, pensando a come porsi nei suoi confronti. Dopo qualche istante, il paziente aprì lentamente la porta ai due agenti, vestiti entrambi con abiti scuri.
«Chi siete? Non vi ho mai visto qui in giro» chiese facendo accomodare i due. «Significa che abbiamo svolto bene il nostro lavoro» rispose Bitter, serio. I due si sedettero di fronte al letto di Kenny, il quale si era di nuovo infilato sotto le coperte. «Vengo subito al dunque» disse Bitter. «Sono un uomo di poche parole. Le comunico in veste ufficiale che lei, signor Portland, paziente numero 0085 di MADHOUSE, è stato scelto per la prima sperimentazione su uomo mai tentata dal SETTORE-7, della nuova cura» concluse.
Kenny rimase immobile. Il suo primo pensiero andò a quando, mesi prima, fu sottoposto alla cura, allora ritenuta definitiva. Ripensò all’immenso dolore provato, per quasi un’ora, disteso sul lettino di quell’orrida stanza. Iniziò a sudare, ma rimase impassibile di fronte ai due sconosciuti. L’agente Bitter osservava l’uomo con un leggero sorriso stampato in faccia, convinto che di lì a poco sarebbe stato testimone del suo categorico rifiuto. Sapeva benissimo che i pazienti dell’S-7 erano tutti volontari consapevoli, quindi al posto di Portland, la scelta sarebbe ricaduta su un altro paziente. Jason Bitter adorava dare brutte notizie.
Il paziente osservava i due, completamente impassibile. Ripensava a quello che aveva fatto prima di finire internato a M∆DHOUSE, e a come il SETTORE-7 gli avesse dato un nuovo motivo per vivere. Ora, quella fredda mattina di novembre, gli era stata offerta, da due perfetti estranei, la possibilità di completare quel processo. Ci rifletté per alcuni minuti e poi, ancora disteso sul suo letto, si limitò a dire: «Ok. Ci stò».
Bitter non poté che ammirarlo.
L’ora concordata per l’inizio della Fase Due, da tutti i membri del SETTORE-7, furono le tre del pomeriggio, il giorno due di novembre. La preparazione di Portland all’esperimento procedeva magnificamente e stava ormai per concludersi. Mancava ormai un giorno esatto all’ora stabilita, e Kenny Portland, ancora internato nella stanza numero 3 del primo piano allestita come una sala pre-operatoria, ricevette la visita di due suoi conoscenti: Malcolm e Trinity entrarono nella stanza per salutare il loro amico, sperando di rivederlo il giorno dopo in ottime condizioni. «Sei sicuro di quello che stai per fare?» chiese secca Trinity, a pochi passi da Portland. «Mi conosci. Se faccio qualcosa, è perché voglio farla davvero» rispose lui, mentre prendeva una dose di antidolorifici. «Mi stanno imbottendo di questa roba...» disse sfrecciante, lanciando il barattolo vuoto nel cestino accanto al letto. «Ti ammiro amico» disse Malcolm, «non riesco neanche a pensare al dolore che ho provato la prima volta» concluse. Il suo intervento non aveva incoraggiato il ragazzo. «Ti hanno comunicato il programma?» chiese Trinity, mentre si accomodava su una sedia. « Sì» affermò lui. «In pratica m’indurranno uno shock da 3X-3 e poi mi somministreranno i protozoni per concludere la cura. Se tutto va bene, in tre ore sono fuori… completamente nuovo!» esclamò con un sorriso. Anche i due si fecero scappare una risata. «Spero solo che sappiano bene quello che stanno per fare» dichiarò Malcolm, riferito alla famosa equipe. «Ovviamente spero che vada tutto bene». Kenny abbracciò i suoi amici, dispiaciuto che Donald non potesse essere lì con loro. Avrebbe potuto stritolarli con la sua forza se solo avesse voluto, ma quelle erano le uniche persone al mondo che si preoccupavano per lui. Una lacrima scivolò sul suo viso e il suo cuore batté forte come mai aveva fatto. Ora era veramente pronto.
Il giorno due di novembre, alle tre del pomeriggio esatte, il paziente Kenny Portland, entrò, accompagnato dagli agenti Bitter e Potara, nella sala adibita all’intervento. Era stato lì tempo prima, e non passò molto che iniziò a sudare per il nervosismo. I due agenti si occuparono di stenderlo sul letto.«Buona fortuna» disse Bitter. «Anche da parte mia» concluse Potara. I due lo legarono con delle cinghie al letto per precauzione ed uscirono dalla stanza.
I cinque medici del S-7 si trovavano, alquanto nervosi, nella stanza adiacente alla sala operatoria, visibile grazie ad una parete completamente in vetro. «Siamo pronti?» chiese Kevinson metre s’infilava i guanti ed il camice. I suoi colleghi lo imitarono ed annuirono, senza dire una parola. «Allora» disse, «Robins e Morthy vi voglio qui in sala controllo, mentre io, Kabowsky e Mitchell saremo dentro. A voi…» continuò rivolto a Joshua Robins e Robeus Morthy, «il compito di monitorare l’intervento. Tutto chiaro?» «Sì» affermarono in coro. «Si comincia» proclamò il dottor Kevinson.
Alle ore tre e un quarto, la squadra composta dal dottor Kevinson, Kabowsky e Mitchell, entrò nella sala operatoria. Kenny Portland giaceva immobile sul lettino. «Michell, pensa all’anestesia» ordinò Kevinson, mentre dava un’occhiata ad alcune cartelle cliniche. «Andrà tutto bene vero?» chiese il paziente, leggermente nervoso. «Ti do la mia parola» rispose fermo Kevinson. «Siamo qui per aiutare te… e il mondo intero». Si sentì un po’ più tranquillo. «Siamo pronti» affermò il medico, rivolto ai due colleghi che intanto preparavano le attrezzature. «Che la storia abbia inizio!»
Il direttore Edward Romwell assisteva insieme ai due dottori incaricati di monitorare l’operazione, confidando nelle capacità dei medici che vedeva dall’altra parte del vetro.
«Allora» cominciò Kevinson. «Per prima cosa voglio il paziente anestetizzato. Vi ricordo che dopo lo shock, non avremo più di fronte il Kenny che conosciamo, bensì quello che fece visita a MADHOUSE la prima volta: un soggetto molto pericoloso». Il dottor Morthy intanto, chiudeva la prima flebo di morfina. «Paziente pronto» affermò controllando un monitor. «È già nel mondo dei sogni». «Bene» intervenne Kevinson. «Iniziamo con la 3X-3». Il dottor Kabowsky prese la fiala contenente la potente vitamina, e iniziò a versarla nella flebo. Girò leggermente la testa per rivolgere uno sguardo provocatorio a Joshua, nell’altra stanza. «Fatto» disse rimuovendo la flebo. «3X-3 in circolo» dichiarò. «Ok» ribattè Kevinson. «Ora viene la parte difficile: tra esattamente dieci minuti si sveglierà, e noi dovremmo iniziare ad iniettare i protozoni. Il problema è che sarà molto agitato e tenterà in tutti i modi di uscire da qui, come accaduto a Lowell. Io e Mitchel penseremo a trattenerlo, mentre tu, Kabowsky, gli farai l’iniezione. Non credo che le cinghie basteranno» avvertì. I due colleghi annuirono, ed iniziò l’estenuante attesa, trascorsa a controllare i vari monitor.
Dopo quasi otto minuti, un leggero bip riecheggiò nella piccola sala, rompendo il silenzio quasi tombale. «Cosa succede?» chiese Kevinson rivolto ai due medici al di la del vetro. «Sto controllando» rispose Robins grazie ad un microfono che metteva in contatto le due sale. «Pare che il battito stia aumentando paurosamente!» esclamò sorpreso. «Siamo a centocinquanta pulsazioni al minuto» intervenne Morthy, guardando il monitor davanti a sé. «Maledizione» imprecò Kabowsky, avvicinandosi a Kenny. «Credo che stia avendo uno shock più forte del previsto e tra non molto si sveglierà!» «Dobbiamo procedere subito con i protozoni» urlò Kevinson, agitandosi. «Altrimenti potremmo perderlo!» I colleghi si prepararono. «Ricordatevi che sentirà molto dolore, quindi lo voglio il più fermo possibi…»
Tac!
Kevinson fu interrotto da un rumore che non gli piacque affatto. Si voltò di scatto e vide che la cinghia che teneva la mano destra del paziente legata al lettino era stata strappata. I tre medici osservarono inermi: il corpo iniziò a muoversi lentamente, il petto pulsava, la mano chiusa in pugno. «Dobbiamo muoverci!» Urlò disperato Kevinson, catapultandosi verso il lettino. «Tenetelo fermo! Kabowsky, procedi!» Robins e Morthy, assieme al direttore, osservavano la scena ammutoliti, senza poter essere d’aiuto. Intanto Kenny si muoveva sempre più. «Prima che si svegli!» Strillò con quanto fiato aveva in gola Kevinson rivolto al collega intento a preparare la siringa di protozoni. «Adesso!» Kabowsky si lanciò sul paziente e alzò la mano per iniettare la sostanza nel corpo dell’uomo, ma era ormai troppo tardi. In quel preciso istante, Kenny Portland aprì gli occhi, risvegliandosi dallo shock. «Siamo fregati» sussurrò il dottor Kevinson, inerme davanti a quello che stava per succedere.