Squadra Anti-Portland

La stanza numero quindici di MADHOUSE era stata usata sempre e solo dai membri del SETTORE-7. Quell’anno, fu il primo, dopo tanti, ad ospitare una riunione riservata ad un pubblico diverso.

All’enorme tavolo rotondo sedevano, oltre ai cinque componenti del S-7, altre quattro persone: l’agente speciale FBI Jason Bitter, che già da tempo collaborava con il progetto del reset celebrale indotto, e, seduto di fianco a lui, l’agente capo della sicurezza di MADHOUSE, Thomas Lisse. Infine il direttore Edward Rommell, informato sui fatti dal dottor Robins.

«Abbiamo un problema» informò Kevinson agli altri. «Tutti siamo al corrente di ciò che è accaduto poco fa, e siamo qui per trovare una soluzione in grado di porvi rimedio». Rommell si alzò prendendo la parola: «Dobbiamo recuperare l’evaso» disse. «È di vitale importanza, sia per l’incolumità dei civili che può incontrare là fuori, che per il destino di questo posto. Se il Presidente venisse a sapere ciò che abbiamo fatto a sua insaputa, scoppierebbe il caos e ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una strada. È nostra priorità recuperare il paziente Portland». Si sedette, in attesa di idee. «Sono perfettamente d’accordo con lei, direttore» riprese Kevinson. «Siamo qui proprio per organizzarci. Lisse l’ha affrontato, e ci ha consigliato di prepararci a dovere». Thomas confermò quanto detto dal medico. «Voglio che i presenti in questa sala organizzino una squadra di recupero» ordinò il direttore Rommell. «Non necessariamente tutti devono farne parte, altrimenti non saremmo veloci come la situazione richiede. Decidete voi, gli altri rimarranno qui in appoggio. Potete usare il K5 per cercarlo, credo sia la scelta migliore». I presenti si limitarono ad ascoltare, senza interrompere Rommell. Il piano sembrava alquanto buono. «Ok» confermò Kevinson. «Allora io direi di cominciare. Fuori andrò io, l’agente Lisse e gli agenti Bitter e Potara. Le loro conoscenze saranno certamente utili». Gli altri medici si guardarono, leggermente offesi per l’esclusione. «Voi rimarrete qui per portare avanti MADHOUSE» ordinò Kevinson capendo al volo il disappunto dei colleghi. «Il vostro lavoro sarà molto importante: dovrete studiare soluzioni alternative alla 3X-3 per portare avanti il progetto. È evidente che qualcosa è andato storto durante l’intervento, ed io credo che la causa possa essere stata proprio la 3X-3. Noi invece ci porteremo una dose di protozoni per neutralizzare Portland all’occorrenza». «Un attimo» lo interruppe Rommell. Io credo che debba far parte della squadra anche uno dei vostri pazienti, probabilmente conosce Portland molto più di voi». «Sono d’accordo» confermò Kevinson. «Porteremo McDoweld con noi» propose. «Va bene» disse il dottor Robins. «Noi intanto saremo qui. Se vi servirà aiuto ci chiamerete». Kabowsky sorrise sorpreso dall’onestà del giovane medico. «Bene» proclamò Rommell alzandosi dalla sedia, tutti gli altri fecero lo stesso. «Possiamo andare».

Drin! Drin!

Il suono di un cellulare risuonò nella grande stanza. Jason Bitter si toccò la tasca, avvertendo la vibrazione del suo telefonino. «Scusate non so proprio chi possa essere» disse mentre se lo portava all’orecchio. «Tom!» esclamò al sentire la voce del collega dall’altra parte. Tutti si erano completamente dimenticati dell’agente Tom Potara, Jason compreso. «Tom, pronto?» disse ad alta voce. «Jason» rispose lui. «So dove è diretto Portland… l’ho seguito fuori dall’ospedale» comunicò. «Sa dove è andato Portland!» esclamò Bitter sorpreso a tutti gli altri. Il direttore tirò un sospiro di sollievo. «Ora ho perso le sue tracce, dovete raggiungermi al più presto!» disse Potara. «Ok» esclamò Jason. «Dimmi dove sei!»

Il furgone speciale K5 era unico nel suo genere: dall’aspetto apparentemente innocuo, nascondeva al suo interno un vero e proprio arsenale, protetto da una carrozzeria e vetri anti-proiettili. Verniciato di colore nero opaco, per nascondersi meglio nella notte, era considerato un sorta di carro armato civile. MADHOUSE ne aveva uno in dotazione da molti anni, da usare in caso di emergenza. La situazione Portland lo era senza dubbio.

Il piccolo K5 sfrecciò a tutta velocità fuori dal parcheggio dell’ospedale, con a bordo il dottor Kevinson, alla guida, gli agenti Bitter e Lisse, e un confuso Malcolm McDoweld, il quale era stato prelevato poco prima dalla sua camera in fretta e furia. Gli era stato comunicato, mentre il gruppo si recava verso il parcheggio sotterraneo, che un suo ‘amico’ si trovava in grave pericolo. Malcolm aveva capito subito di chi si trattava.

«Allora» disse Kevinson mentre svoltava fuori dall’enorme piazzale che ospitava MADHOUSE. «Prenderemo la statale dodici diretta a Jefferson City. In meno di un’ora saremo lì, e appena arrivati ci incontreremo con l’agente Potara». “Jefferson City” pensò Malcolm. Aveva già sentito il nome di quella città, forse pronunciato tempo prima proprio dal suo ‘amico’ Kenny. Né Malcolm, né gli altri del gruppo della Stanza Rossa sapevano cosa avesse fatto Kenny per essere internato in MADHOUSE. Ora aveva la netta sensazione che stavano per scoprirlo.

Il dottor Kevinson, con una svolta decisa, imobccò la statale diretta ad ovest, sperando di recuperare l’evaso al più presto.

Ormai però, era già troppo tardi.